LE INDICAZIONI PASTORALI 2022 -2023 DEL VESCOVO RASPANTI

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Maria ha scelto la parte buona

LE INDICAZIONI PASTORALI 2022 -2023 DEL VESCOVO RASPANTI

Cari Fedeli,

l’anno pastorale appena trascorso, concomitante con quello del Sinodo della Chiesa universale e nel ricordo dei centocinquanta anni di vita diocesana (1872-2022), è stato caratterizzato dai primi passi del Cammino Sinodale della Chiesa italiana. L’invito a rafforzare lo stile sinodale nell’esser Chiesa è un tutt’uno con il rinnovamento di essa, che può avvenire solo con l’aiuto dello Spirito. Ringrazio i presbiteri, i diaconi e i fedeli che cooperano a vario titolo all’azione pastorale della nostra Chiesa per il gran lavoro svolto nei propri ambiti, portando costantemente avanti la testimonianza cristiana nella vita ordinaria.

  1. I lavori del Cammino Sinodale hanno trovato nella sintesi diocesana un primo approdo. Essa offre un preciso riferimento per inoltrarci nel secondo anno di tale Cammino, assumendo l’ampio orizzonte nazionale, sintetizzato da I cantieri di Betania offertici dalla Conferenza Episcopale Italiana. «Quali le consegne di questo primo anno? − si chiede il testo nazionale − Dalle sintesi diocesane, che andranno valorizzate nelle rispettive Chiese locali, ne emergono alcune: crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni; approfondire e integrare il metodo della conversazione spirituale; continuare l’ascolto anche rispetto ai “mondi” meno coinvolti nel primo anno; promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati; snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo».

Il compito cui siamo chiamati in questo secondo anno è pertanto ben scandito dal testo della CEI, valido sussidio in cui si indicano tre cantieri ai quali dedicarsi. Da esso e dalla nostra sintesi ripartiamo, sebbene in verità non ci siamo mai fermati! Nei mesi estivi, infatti, l’equipe diocesana è stata al lavoro, come anche il servizio di pastorale giovanile e i direttori degli uffici diocesani, al fine di delineare il nuovo percorso.

Si diceva dei “cantieri”: «Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale». I cantieri indicati, nei quali ritroviamo anche quel che è emerso nella nostra Diocesi, sono tre:

  1. il cantiere della strada e del villaggio, che mira a farci ascoltare mondi del secolo, dove si svolge la vita quotidiana, spesso anche lontani dalla vita ecclesiale. Questo cantiere ci aiuterà non solo ad accostare persone alquanto distanti dalla vita ecclesiale, ma a farci riflettere sul nostro atteggiamento verso di loro;
  2. il cantiere dell’ospitalità e della casa, che riguarda piuttosto la vita più interna alle nostre comunità, cercando di capire la qualità delle relazioni che le contraddistingue;
  3. molto simile a quest’ultimo è il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che già indica una carenza e, pertanto, un ambito nel quale presto occorrerà operare un discernimento e delle scelte. Ma ogni cosa a suo tempo!

La nostra Chiesa può scegliere anche un quarto cantiere, per noi peculiare: non penso sia necessario, in quanto se lavoriamo con attenzione a quelli già indicati, non rimane escluso alcun ambito della vita pastorale. In verità, le Chiese di Sicilia hanno scelto anche di mettere a fuoco tutte insieme il nostro rapporto con la società civile isolana, tanto afflitta da gravi problematiche quali le povertà, lo spopolamento e l’emigrazione, la crisi demografica e sociale, solo per citarne alcune. Non mancheremo di porre attenzione a ciò, cui per altro ci dedichiamo da tempo.

Poiché il sussidio della CEI è minuzioso, con precise domande per i tre cantieri, suggerisco di assumerlo per i lavori sinodali che svolgeremo quest’anno. Per questo motivo desidero consegnarlo a voi come parte integrante di queste Indicazioni Pastorali. Anche quest’anno, pertanto, continueremo a incontrare i referenti parrocchiali secondo quanto stabilirà il calendario diocesano.

 

  1. Mi soffermo brevemente su un aspetto che va emergendo sia nella nostra sintesi sia sul piano nazionale.

Mi riferisco al terzo cantiere della formazione spirituale, che il testo nazionale collega con l’ascolto di Maria di Betania, seduta ai piedi di Gesù. Da decenni i vescovi italiani insistono su di essa e denunciano sia l’attivismo pastorale sia la “burocrazia” ecclesiastica con i quali clero, religiosi e laici sembriamo avvitarci su noi stessi, non riuscendo a incidere sulle coscienze delle persone e allontanandoci sempre più dalle nuove generazioni. Papa Francesco ripete che non bisogna creare o cambiare strutture, bensì avviare relazioni e modi di agire che vadano in profondità e tornino all’essenziale, soprattutto trovino nuovi linguaggi che parlino alle persone di oggi.

Credo, dunque, come detto nelle precedenti Indicazioni Pastorali, che sia in causa la cultura cristiana, che il solo termine “formazione” rischia di non dire a sufficienza. Per cultura intendo un modo di essere, di agire e di parlare, nel piccolo raggio come nel grande, nel privato come nel pubblico, che abbia il suo fulcro in Cristo, in un rapporto personale e saldo con Gesù e a partire da lui organizzi tutto l’universo simbolico e valoriale della persona e della comunità. Senza sapersi e sentirsi all’interno di un universo unitario e significativo, non si comunica, ma si rimane soli o ghettizzati. Di continuo insistiamo sul rapporto vivo con Cristo, ma non sembriamo riuscire a creare una vera “scuola”, un modo di pensare, valutare, sentire e agire che ci distingua dal flusso dominante e sia significativo per coloro che cercano un “di più”. Ci mostriamo talvolta dediti alle cose religiose per confortevole abitudine o per tenere un nostro potere su alcuni campi dell’esistenza umana, quasi per mestiere. Così ci releghiamo e siamo relegati in un ghetto sempre più ristretto e avvertito come estraneo soprattutto dal mondo dei giovani. Nei fedeli laici la divaricazione tra la vita in Cristo, con le sue conseguenze in ambito affettivo, lavorativo e sociale, e le scelte operate quotidianamente è troppo evidente. Anche noi pastori spesso inseguiamo le abitudini e i giudizi dominanti, molto attenti a noi stessi e alle “nostre esigenze” e poco aperti al “comandamento nuovo” di Cristo Crocifisso.

Un segno di questa fede tiepida può scorgersi nella altrettanto tiepida passione per l’uomo e per la scienza che lo studia nelle sue varie prospettive. Senza questa passione e questa scienza è impossibile creare nuovi linguaggi nella liturgia, nell’evangelizzazione e nel contributo da dare alla vita del Paese. Perciò i linguaggi e i comportamenti rimangono chiusi nel mondo ecclesiastico, verso i quali la maggior parte della gente comune non mostra interesse. L’unità del comandamento di amare Dio e amare il prossimo fa capire che occorre essere pienamente nel mondo, con la scienza di esso, riformulando quest’ultima attorno a Cristo, centro e fondamento di tutto. La conformità a Cristo salvatore permette di parlare nello Spirito una lingua che tutti possono comprendere. È un’opera gigantesca e secolare, come ci è noto da altre epoche della vita della Chiesa, ma sappiamo che è irrinunciabile. Non si tratta di “uscire”, come indica Papa Francesco, solo fisicamente o accorrendo tra i meno abbienti (cose necessarie); sono gli interessi quotidiani, le conversazioni spicciole, persino i gusti, il tempo libero, lo studio che debbono rinnovarsi. Cambiare, infatti, per chi non è giovane è arduo e complesso. È pur vero, però, che l’amore ardente a Cristo muove ogni pigrizia, abitudine, spirito rinunciatario. Non ci resta che puntare su questo.

 

  1. Il documento nazionale prende quale testo biblico esemplare l’incontro di Gesù con Marta e Maria. Ripropongo una sua lettura fatta da fra Ugo van Doorne, l’eremita che da pochi mesi vive nella nostra Diocesi, perché bisognoso di assistenza. Più che interpretare il testo come raffigurazione di due tipi di comportamento religioso (Marta che serve e Maria che contempla), egli contrappone nettamente come alternative le due figure, divise dall’ascolto di Gesù presente in mezzo a loro. Marta, che non ascolta, «è il mondo dell’uomo, delle cose umane, degli interessi umani. Non per forza il mondo che esclude Dio, ma il mondo che fa entrare Dio nello schema del mondo. Dio è uno dei tanti bisogni dell’uomo … Maria invece è quella che ascolta; si apre ed è disponibile al mondo di Dio». Marta è dispostissima a fare mille cose per servire il Signore, ma non si mette nel radicale abbandono di disponibilità, mentre Maria non offre a Dio i suoi buoni servizi, bensì se stessa e il Signore se ne servirà come vorrà Lui.

Difatti fra Ugo si basa su una traduzione italiana del testo alquanto diversa da quella che usiamo; non “Maria ha scelto la parte migliore”, ma “la parte buona” (τὴν ἀγαθὴν μερίδα). La parte di Marta non è buona rispetto all’altra, che sarebbe migliore; ma una sola è buona e non l’altra. È la necessità assoluta per ogni credente dell’ascolto, perché ogni altra via è fallimentare. Marta si affanna a troppe cose da lei ritenute necessarie e logiche, che la assorbono facendola passare oltre l’unica cosa necessaria che Cristo le offre. «Il tipo “Marta” lo troviamo un po’ dovunque nella vita del Signore: sono tutti quelli che vogliono servire Dio secondo i propri criteri e logiche. Pronti a farsi in quattro, per servire il Signore, senza chiedersi se il loro servizio è … secondo il suo pensiero».

Si tratta di entrare in un rapporto autentico con Cristo crocifisso, non inserirlo nei nostri quadri, perché i suoi pensieri non sono i nostri. Solitamente questo rapporto ci spoglia da tutte le illusioni che le nostre attività e i quadri valutativi alimentano. Con Cristo si scopre la mia verità, povera, dinanzi alla sua santità immensa. Ma è pur vero che questa verità ci libera dalle agitazioni e dai tormenti degli affanni inutili e deludenti. Andato via l’ospite, cioè Gesù, Marta sarebbe rimasta con i suoi affanni e agitazioni; mentre Gesù vuole che lei rimanga con lui e venga via con lui nel suo amore. «Ripetiamolo di nuovo: Gesù lo dice non per una particolare categoria di persone, quelle che noi chiamiamo “i contemplativi”. Gesù lo dice per tutti coloro che devono “essere” nuova umanità, essere Chiesa».

Poiché egli è in casa nostra, la scelta di voltarsi (convertirsi) verso Cristo e ascoltarlo è l’unica necessaria ad ogni nostro pensare, valutare e agire. Per i chierici come per i religiosi e i laici. Che Maria di Betania e Maria madre di Dio ci insegnino a seguire la guida dello Spirito Santo.

In compagnia delle sorelle di Betania percorreremo, dunque, questo nuovo anno che Dio ci dona desiderosi di entrare sempre più nel pensiero di Cristo, come dice l’Apostolo, e di perseverare nella ricerca della conformità alla sua morte e risurrezione. Lo faremo svolgendo i nostri doveri di sempre, sapendo che in questo compito si nasconde il volto di Gesù che cerchiamo. Egli attende solo che gli apriamo generosamente la porta del cuore, lasciando entrare con lui ogni fratello e sorella che ci sono prossimi.

Il cantiere della strada e del villaggio

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio”. Gesù non evita i villaggi, ma insieme al gruppo dei discepoli e delle discepole li attraversa, incontrando persone di ogni condizione. Sulle strade e nei villaggi il Signore ha predicato, guarito, consolato; ha incontrato gente di tutti i tipi – come se tutto il “mondo” fosse lì presente – e non si è mai sottratto all’ascolto, al dialogo e alla prossimità. Si apre per noi il cantiere della strada e del villaggio, dove preste- remo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: innanzitutto il vasto mondo delle povertà: indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, forme di emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana), e poi gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore.

Sono spazi in cui la Chiesa vive e opera, attraverso l’azione personale e organizzata di tanti cristiani, e la fase narrativa non sarebbe completa se non ascoltasse anche la loro voce. Papa Francesco insiste sulla necessità di porsi in ascolto profondo, vero e paziente di tutti coloro che desiderano dire qualcosa, in qualsiasi modo, alla Chiesa (cf. Omelia per lapertura del Sinodo, 10 ottobre 2021). Il Concilio Vaticano II, profezia dei tempi moderni e punto di riferimento per il Cammino, ha ricordato che la Chiesa non solo dà, ma anche riceve dal mondo (cf. GS 44-45).

Nella realizzazione di questo cantiere sinodale dovremo misurarci con la questione dei linguaggi, che in alcuni casi risultano difficili da decodificare per chi non li utilizza abitualmente: basta pensare ai codici comunicativi dei social e degli ambienti digitali abitati dai più giovani, o a quelli delle fratture prodotte dall’emarginazione. Occorrerà, dunque, uno sforzo per rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, che non potrà essere applicato dovunque allo stesso modo e dovrà essere adattato per andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane. In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani che il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile, così da entrare in relazione con persone che altrimenti la Chiesa non incontrerebbe. Camminando per le strade e i villaggi della Palestina, Gesù riusciva ad ascoltare tutti: dai dottori della legge ai lebbrosi, dai farisei ai pescatori, dai giudei osservanti ai samaritani e agli stranieri. Dobbiamo farci suoi discepoli anche in questo, con l’aiuto dello Spirito.

 

Domanda di fondo: come il nostro “camminare insieme” può creare spazi di ascol- to reale della strada e del villaggio?

 

  • Questanno verso quali ambienti vitali possiamo allargare il raggio del nostro ascolto, aprendo dei cantieri?
  • Quali differenze e minoranze chiedono una specifica attenzione da parte delle comunità cristiane? Cosa comporterà per la Chiesa assumere queste attenzioni?
  • Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti? Come possiamo imparare una lingua diversa dall’“ecclesialese”?
  • Come comunità ecclesiale, da quali attori o gruppi sociali possiamo imparare o avere imparato qualcosa?
  • Come possiamo adattare il metodo della conversazione spirituale ai diversi ambiti della vita sociale e civile?

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Il cantiere dellospitalità e della casa

Una donna, di nome Marta, lo ospitò” nella sua casa. Il cammino richiede ogni tanto una sosta, desidera una casa, reclama dei volti. Marta e Maria, amiche di Gesù, gli aprono la porta della loro dimora. Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato. Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”: nei primi secoli, e ancora oggi in tante parti del mondo dove i battezzati sono un “picco- lo gregge”, l’esperienza cristiana ha una forma domestica e la comunità vive una fraternità stretta, una maternità accogliente e una paternità che orienta. La dimensione domestica autentica non porta a chiudersi nel nido, a creare l’illusione di uno spazio protetto e inaccessibile in cui rifugiarsi. La casa che sogniamo ha finestre ampie attraverso cui guardare e grandi porte da cui uscire per trasmettere quanto sperimentato all’interno – attenzione, prossimità, cura dei più fragili, dialogo – e da cui far entrare il mondo con i suoi interrogativi e le sue speranze. Quella della casa va posta in relazione alle altre immagini di Chiesa: popolo, “ospedale da campo”, “minoranza creativa”, ecc.

Richiamandosi all’esperienza della pandemia, nel primo anno del Cammino sinodale, molti hanno evidenziato la fecondità della “casa” anche come “Chiesa domestica”, luogo di esperienza cristiana (ascolto della Parola di Dio, celebrazioni, servizio). Emerge il desiderio poi di una Chiesa plasmata sul modello familiare (sia esso con figli, senza figli, monogenitoriale o unipersonale), capace di ritrovare ciò che la fonda e l’alimenta, meno assorbita dall’organizzazione e più impegnata nella relazione, meno presa dalla conservazione delle sue strutture e più appassionata nella proposta di percorsi accoglienti di tutte le differenze.

Il cantiere dellospitalità e della casa dovrà approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che la conduce fuori. Si interrogherà poi sulle strutture, perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento, e dovrà verificarne sostenibilità e funzionalità. In un “cambiamento d’epoca” come il nostro (cf. Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana, 10 novembre 2015), tale verifica dovrà includere l’impatto ambientale, cioè la partecipazione responsabile della comunità alla cura della casa comune (cf. Laudato si’). Questo cantiere si può aprire anche sugli orizzonti del decentramento pastorale, per una presenza diffusa sul territorio, oltre che sulle strutture amministrative come le “unità pastorali” e simili.

Nell’ambito del cantiere sinodale si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata da molti, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di rea- le corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione.

 

Domanda di fondo: come possiamo “camminare insieme” nella corresponsabilità?

  • Quali funzioni e impegni sono davvero necessari allevangelizzazione e quali sono solo vòlti a conservare le strutture? Quali delle nostre strutture si potrebbero snellire per servire meglio lannuncio del Vangelo?
  • Che cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo, per sentirsi a casa” nella Chiesa?
  • Quali passi avanti siamo disposti a fare, come comunità cristiane per essere più aperte, accoglienti e capaci di curare le relazioni? Esistono esperienze ospitali positive per ragazzi, giovani e famiglie (ad es. loratorio)?
  • Che consapevolezza abbiamo nelle comunità cristiane di essere diocesi, Chiesa locale?
  • Quale autorità, tra funzione consultiva e deliberativa, si è disposti a riconoscere agli organismi di partecipazione ecclesiale nellesercizio della comune vocazione battesimale? In quale direzione andrebbero riformati?
  • Che cos’è che aiuta a vivere lesperienza cristiana nelle case e cosa servirebbe per essere aiutati a viverla meglio?

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Il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale

Maria (…), seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era di- stolta per i molti servizi”. L’accoglienza delle due sorelle fa sentire a Gesù l’affetto, gli offre ristoro e ritempra il cuore e il corpo: il cuore con l’ascolto, il corpo con il servizio. Marta e Maria non sono due figure contrapposte, ma due dimensioni dell’accoglienza, innestate l’una nell’altra in una relazione di reciprocità, in modo che l’ascolto sia il cuore del servizio e il servizio l’espressione dell’ascolto. Gesù non critica il fatto che Marta svolga dei servizi, ma che li porti avanti ansiosamente e affannosamente, perché non li ha innestati nell’ascolto. Un servi- zio che non parte dall’ascolto crea dispersione, preoccupazione e agitazione: è una rincorsa che rischia di lasciare sul terreno la gioia. Papa Francesco ricorda in proposito che, qualche volta, le comunità cristiane sono affette da “martalismo”. Quando invece il servizio si impernia sull’ascolto e prende le mosse dall’altro, allora gli concede tempo, ha il coraggio di sedersi per ricevere l’ospite e ascoltare la sua parola; è Maria per prima, cioè la dimensione dell’ascolto, ad accogliere Gesù, sia nei panni del Signore sia in quelli del viandante.

Il servizio necessita, dunque, di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro (“la parte migliore”, Lc 10,42): solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze, i bisogni. Impara- re dall’ascolto degli altri è ciò che una Chiesa sinodale e discepolare è disposta a fare.

Si apre il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che focalizza l’ambito dei servizi e ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cf. Evangelii gaudium 33), dall’affastellarsi di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili incombenti, trascurando inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.

Il Cammino sinodale può far emergere questa fatica in un contesto nel quale si fa esperienza del suo antidoto: l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto reciproco, di cui molte sintesi hanno evidenziato una grande sete. Il primo obiettivo di questo cantiere sarà, allora, quello di riconnettere la diaconia con la sua radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium 92).

Si incroceranno, inoltre, le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite, le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”. La centralità delle figure di Marta e Maria richiama poi esplicitamente il tema della corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana.

 

Domanda di fondo: come possiamo “camminare insieme” nel riscoprire la radice spirituale (“la parte migliore”) del nostro servizio? Come possiamo evitare la tentazione dell’efficientismo affannato o “martalismo”, innestando il servizio dell’ascolto di Dio e del prossimo? Esistono esperienze positive in merito?

 

  • Che cosa può aiutarci a liberare” il tempo necessario per avere cura delle relazioni?
  • Come coinvolgere le donne e le famiglie nella formazione e nellaccompagnamento dei presbiteri?
  • Quali esperienze di ascolto della Parola di Dio e crescita nella fede possiamo condividere (gruppi biblici, incontri nelle case, lectio divina, accompagnamento spirituale di singole e coppie, processi formativi a tutti i livelli…)?
  • Quali sono i servizi e i ministeri più apprezzati e quelli che si potrebbero promuovere nella nostra comunità cristiana? E ancora: quale spazio rivestono o possono rivestire nelle comunità cristiane le persone che vivono forme di consacrazione e di vita contemplativa?

Bussola: Costituzione Dei Verbum” e decreti Presbyterorum Ordinis” e Perfectae Caritatis”
Con il Concilio Vaticano II in cammino verso il Giubileo del 2025

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30 Settembre 2022
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