SINODO: IL TEMPO DELLA SINTESI

CATTEDRALE DI ACIREALE - 27 aprile 2022

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SINTESI DIOCESANA – Cammino sinodale

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Introduzione. Rilettura dell’esperienza sinodale

La diocesi di Acireale, situata nella Sicilia orientale, tra l’Etna e il mar Jonio, in provincia di Catania, conta attualmente circa 240 mila abitanti, di cui la quasi totalità ha ricevuto il battesimo e si ritiene di cultura cattolica. Il territorio diocesano è diviso in tre grandi aree pastorali (1. Zona delle Aci: primo, secondo e terzo vicariato; 2. Zona Ionico-etnea: quarto e quinto vicariato; 3. Zona Alcantara: sesto vicariato) e sei vicariati con un totale di 111 parrocchie riunite in comunità pastorali.
La nostra Chiesa particolare, da subito, si è coinvolta nel Cammino sinodale voluto dal Santo Padre e dai vescovi italiani. È doveroso riconoscere, a tal proposito, al nostro Vescovo Antonino di aver sospinto in questa direzione la nostra diocesi dall’inizio, provvedendo alla nomina del referente diocesano che si è messo all’opera dall’estate 2021. L’equipe diocesana prontamente creatasi è partita dall’interrogativo di fondo formulato nel Documento Preparatorio del Sinodo della Chiesa universale: quale esperienza del camminare insieme e come implementare questo camminare insieme (DP nn. 2 e 26).
Il Cammino sinodale è iniziato a partire dalla nostra piccola equipe – segno di una Chiesa in cammino – e ci è stato concesso di vivere un atteggiamento, uno stile, che ci ha permesso di ascoltare, con docilità d’animo, con grande apertura e rispetto, tutte le narrazioni. Abbiamo compreso come la narrazione non debba essere presa come un momento formale, giusto per toglierci un pensiero o per riempire un questionario. Sperando che questo diventi uno stile di vita ordinario, anche e soprattutto per i presbiteri, non avendo paura ad ascoltare anche quello che non fa piacere, perché turba o mette in questione. Abbiamo accolto questo tempo come un autentico momento di grazia.
Questa riflessione fatta percorso ha avuto diverse tappe. Innanzitutto abbiamo iniziato con un percorso di sensibilizzazione/sintonizzazione di tutte le realtà ecclesiali, clero e laici. In particolare il Cammino sinodale è stato messo a tema dell’assemblea del presbiterio, oltre che del Consiglio Presbiterale. Lo stesso è stato fatto col Consiglio Pastorale Diocesano, con la Consulta delle Aggregazioni, con gli Uffici Pastorali, con le persone consacrate. Dopo questa prima fase, il 20 ottobre 2021 vi è stata l’apertura diocesana del Cammino sinodale a cui sono seguiti molteplici incontri di sensibilizzazione nelle varie realtà parrocchiali. Quindi si è scelto di incontrare e ascoltare anche realtà operanti nel territorio, come gli insegnanti di religione cattolica, gli operatori della carità, e, soprattutto, c’è stata una consultazione capillare e molto estesa dei giovani – mediante il lavoro nelle scuole e un questionario on line – che il DP indica come una delle tre realtà in credito di ascolto verso la Chiesa.
Altro lavoro importante è stato quello con i referenti parrocchiali, che consideriamo una grande risorsa per la continuità del cammino intrapreso (pochissime parrocchie non hanno segnalato referenti).
Altro strumento messo in opera è da considerarsi l’utilizzo dei social media, quali l’attivazione di un canale Facebook dedicato e la creazione di un supporto televisivo realizzato, gestito da un gruppo di giovani di Azione Cattolica, che costantemente ha seguito il percorso con interviste e approfondimenti.
Interessante è stata anche la proposta di un evento formativo per i giornalisti su “Vita ecclesiale, Cammino sinodale e Informazione”, realizzata in collaborazione con la testata giornalistica “La Voce dell’Jonio” di Acireale e la delegazione siciliana della FISC (l’associazione che raccoglie i giornali diocesani). L’evento si è svolto in tre giornate sui temi “Prendere la parola nella Chiesa”, “Prendere la parola nella società” e “Prendere la parola per gli ultimi”.
Dalle sintesi pervenute al termine di questa prima fase si evince che gli incontri sinodali sono stati impostati sempre alternando momenti di ascolto della Parola e momenti di preghiera comunitaria. Per quanto riguarda il materiale, oltre alle indicazioni date dall’equipe diocesana, diversi gruppi hanno realizzato dei loro questionari a seconda del contesto della propria comunità. Diverse sono state le modalità di diffusione di tale materiale: dalla pubblicità durante le liturgie domenicali, al volantinaggio, alla consegna anticipata dei vari questionari attraverso i social e delle domande da affrontare nel gruppo per essere maggiormente partecipi. Altri materiali adottati: video e qualche cortometraggio.
L’abbondante e ricco materiale pervenuto (quasi tutte le parrocchie, alcune aggregazioni e realtà ecclesiali del territorio, le sintesi di incontri scolastici, 752 questionari on-line) è stato sintetizzato utilizzando il metodo della conversazione spirituale, scandito dai tre passi del discernimento comunitario: riconoscere, interpretare, scegliere.

1. Riconoscere

Dalle consultazioni emerge che in quasi tutte le parrocchie sono state coinvolte diverse fasce di persone di età diverse, Consigli Pastorali, gruppi ecclesiali, giovani, professionisti, e anche (ma poche) persone lontane dalla vita parrocchiale.
Dopo un primo momento di incertezza, lo stile degli incontri è stato riconosciuto come valido ed efficace, dando frutti di adesione e spontaneità. Così dallo smarrimento si è passati alla partecipazione attiva, dalla narrazione di ciascuna storia è scaturito un senso di gratitudine. La possibilità di essere ascoltati è stata definita una grazia, il dialogo un’occasione di crescita, il confronto un rimedio ai pregiudizi.
Mettere a fuoco la motivazione delle difficoltà di ascolto è stato un esercizio di autocritica che ha permesso di comprendere che ci bloccano la diffidenza e la paura di non saper dare risposte o di essere giudicati. L’ascolto quando è accompagnato dall’approfondimento della Parola di Dio fa emergere inaspettate ricchezze, specie nel dialogo con i giovani, mentre i più anziani fanno maggiore fatica a discostarsi dalle consuete modalità di incontro.
Questa modalità di incontrarsi, quello cioè di continuare lo stile della sinodalità nei diversi ambiti della pastorale, è stata vista da tutti una strada privilegiata anche per il prossimo futuro. Nella conduzione di questo percorso sinodale è stato riconosciuto il valido apporto dei referenti parrocchiali.
Negli incontri in massima parte si sono coinvolti i membri dei gruppi proponendo ed attuando lo stile sinodale, attraverso il coordinamento delle equipes parrocchiali costituitesi.
All’interno degli incontri, considerati in gran parte costruttivi, si sono espresse idee ma anche dubbi. Le riunioni hanno dato l’opportunità di valorizzare il lavoro di insieme, il senso di squadra.
La solitudine diffusa – e non solo come effetto della pandemia – è il frutto di un allontanamento graduale ed inesorabile a cui assistiamo dei fedeli dalla Chiesa. Ciò riferibile a due cause: da un lato una società che attraversa un rapido cambiamento, dall’altro un clero che a volte si percepisce distante e contraddittorio. Da questo punto di vista gli incontri sono stati occasione per riavvicinare alcuni che si erano allontanati e stimolo per riprendere, dove necessario, un dialogo costruttivo con i sacerdoti preposti a guida delle parrocchie.
Il nuovo metodo sinodale si è visto come fortemente utile per esercitare un vero ascolto e limitare i personalismi ed il protagonismo che finiscono spesso per spegnere le voci dei meno avvezzi a prendere la parola. L’ascolto reciproco è ciò che manca nelle nostre parrocchie e proprio perché manca se ne sente il desiderio.
L’accoglienza favorevole del Cammino sinodale è stata tale perché il suo avvio può tradursi in un nuovo modo di essere Chiesa e alba di una significativa trasformazione. Il nemico più pericoloso è l’autoreferenzialità dei gruppi che è direttamente proporzionale alla loro strutturazione nel tempo. La mancanza di apertura e di accoglienza determinano una stasi ed una sclerotizzazione che si rivelano refrattari al cambiamento.
Nel camminare insieme si è avvertita la presenza dello Spirito Santo, potendo apprezzare la semplicità dei gesti e le esperienze di vita vissuta, facendoci scoprire di essere compagni di viaggio ed educandoci al discernimento comune.

2. Interpretare
Punti cardine individuati:
● Al centro Cristo
● Ascolto
● Accoglienza
● Corresponsabilità
● Distanza dai giovani e dalle famiglie

Una Chiesa che sappia mettere al centro Cristo

Si vuole una Chiesa che esca dalle proprie mura, più generosa, che torni alla croce di Cristo, aderente allo spirito del Vangelo, meno formale, più attenta; una Chiesa sobria, aperta alle necessità dei fedeli, meno istituzionale e più familiare, slegata dal “potere” che a volte sembra prevalere.
Le tensioni su argomenti quali l’uso del denaro, le ingiustizie, la pedofilia e la cattiva condotta del clero risiedono solo in alcuni, tuttavia sono considerati causa di allontanamento e perdita di fiducia.
Sono stati evidenziati nei vari gruppi limiti e difficoltà originati da un certo clericalismo, dall’ansia di prevalere nei ruoli, da una autorità esercitata senza spazio al dialogo, da comportamenti non edificanti da parte di chi è preposto a guidare altri in un determinato servizio.
Si arriva a definire la Chiesa come una sorta di partito politico che tende ad escludere chi non ne fa parte e ad impedire ad altri di farsi promotore di iniziative. Tale situazione è percepita ancora di più da chi frequenta meno la parrocchia che afferma di notare all’interno gruppi e sottogruppi dove invidie e gelosie alimentano una gara ad emergere e prevalere.
Molti invocano una Chiesa in uscita che possa prendere il posto di quella arroccata sulle proprie convinzioni, che si difende con l’alibi della dottrina ma che ha dimenticato la misericordia; una Chiesa aperta e accogliente, “ospedale da campo” più che luogo di soli appuntamenti rituali o culturali.
Si sottolinea così la necessità di un forte cambiamento della Chiesa, anche se una parte di fedeli la reputa ancora come “casa”, per senso di appartenenza e legame affettivi vissuti in questa, fin dall’infanzia.
Per molti altri, la Chiesa non rappresenta più una “madre accogliente”, ma viene vista come un’azienda e un’agenzia e non un popolo in cammino. Si coglie il rischio di comunità organizzative, ma poco meditative. Questa visione ha fatto sì che si diffondesse una mancanza di fiducia ed un allontanamento sempre più radicale. Inoltre la mancanza di linguaggio adeguato ai tempi di oggi e ai vari contesti in cui si è chiamati a vivere e a rispondere e testimoniare il nostro “credere”, ha determinato un distacco tra la Chiesa e la società di oggi. Si richiede di utilizzare un linguaggio fresco, più diretto e più semplice, capace di veicolare un messaggio evangelico chiaro e veritiero per le varie fasce d’età.
Si avverte la necessità di ritornare alla Chiesa delle origini, dove la comunità viene coinvolta non solo in pratiche liturgiche, ma anche in momenti concreti di vita in cui sia visibile una credibile testimonianza di carità (per molti, ancora assente), dove vengono intercettati i reali bisogni dell’uomo.
Strettamente legata al bisogno di adeguare il linguaggio alla realtà socio-culturale in continuo mutamento è la richiesta di una omiletica chiara, che attualizza la Parola per illuminare la vita presente, adeguata nei contenuti e nella forma all’assemblea che ascolta, una predicazione frutto di studio e di preghiera.
Il desiderio di vivere meglio in generale le celebrazioni liturgiche emerge in molti, in particolare la S. Messa, da qualcuno definita spenta, priva di gioia. Si ritiene importante migliorare l’animazione liturgica, con ministranti e servizio canto, prestando maggiore cura all’accoglienza prima e dopo la celebrazione.
Bisogna anche dare più tempo alla preghiera comunitaria, alle opportunità di approfondimento della Parola, all’adorazione eucaristica per alimentare e nutrire la dimensione spirituale sia a beneficio di quanti sono impegnati attivamente che di tutte le persone della parrocchia in particolare di quanti attraversano momenti di prova.
Emerge chiaramente una scarsa partecipazione – non solo in termini numerici – dei bambini alla catechesi per l’iniziazione cristiana e ancor di più una dispersione dei ragazzi dopo la Cresima. Cresce così il convincimento che bisogna affrontare con urgenza un cambiamento di rotta.
Da più parti si sottolinea la necessità di un maggiore coinvolgimento delle famiglie sia per affiancare il compito dei catechisti sia perché ai genitori vengano proposti itinerari di formazione adeguati ad accompagnare i propri figli a ricevere i sacramenti. Molte difficoltà si incontrano perché i bambini sono lasciati soli in questo percorso. Ecco quindi un altro valido motivo per coinvolgere le giovani famiglie a rendersi parte attiva della parrocchia, condividendo la responsabilità di far maturare la fede nei propri figli.
D’altro canto si avverte la necessità di offrire un percorso di catechesi più dinamico, che utilizzi anche strumenti multimediali per coinvolgere maggiormente le nuove generazioni e stimolarne la curiosità e la voglia di avvicinarsi di più alla parrocchia, perché questa non venga vista come un mero distributore di sacramenti e perché questi non vengano ridotti ad occasioni di festa, ma valorizzati come espressione di maggiore adesione a Cristo.

Una Chiesa che sappia mettersi in ascolto

Il nuovo metodo suggerito dal Cammino sinodale, risultato così originale, ha fatto emergere una grande difficoltà che incontrano le parrocchie a fare vera esperienza di comunità, a vivere il loro camminare insieme come realmente dovrebbe essere. In quei casi dove si ritrova il termine comunità esso è visto più come un ideale a cui tendere piuttosto che qualcosa di sperimentato realmente.
Saper cogliere l’azione dello Spirito, ascoltare ciò che suggerisce per orientare il nostro cammino di fede lo si può sperimentare camminando insieme, avviando – anche con l’ausilio della conversazione spirituale – un processo di comunicazione autentica e fraterna che ci educa all’umiltà e alla perseveranza, per essere Chiesa che annuncia con coraggio e franchezza la Verità.
Dove si sperimenta l’accoglienza e la fraternità, dove i più piccoli si possono incontrare e crescere nell’amicizia, dove vengono coinvolte attivamente le famiglie, lì si riesce a fare vera esperienza di comunità. A sacerdoti e laici si richiede quindi (dove ciò non avviene) di creare le condizioni per un coinvolgimento più autentico e significativo di tutte le componenti della realtà parrocchiale perché si avvii un dialogo costruttivo, ci si impegni a tessere legami di vita buona e si rafforzino le relazioni autentiche fra i membri della parrocchia stessa.
Abbandonata l’ansia di avere numeri e risultati, la parrocchia dovrebbe preoccuparsi di valorizzare la qualità della proposta educativa, spirituale e umana, cercando di recuperare un cristianesimo sociale, ricostruendo reti con le altre agenzie educative del territorio e porsi in maniera collaborativa e costruttiva a servizio del maggior bene della collettività, a prescindere dalla fede professata.
D’altro canto la percezione di Chiesa all’esterno è quella di un circolo chiuso, dove emerge il protagonismo e la competizione, oltre che un atteggiamento di chiusura ed un dogmatismo rigido dietro cui ci si trincera per non affrontare le sfide della realtà che ci circonda. Lo stile dell’ascolto, innanzitutto per noi stessi, diventa un antidoto all’individualismo imperante nella società attuale dove non c’è spazio per l’altro e l’indifferenza prevale sull’empatia. Quello che non si trova al di fuori di noi dovremmo invece essere noi a testimoniarlo e renderlo accessibile, se desideriamo che la nostra parrocchia sia percepita come aperta e sappia accogliere realmente.

Una Chiesa accogliente, aperta ed attenta alle periferie dell’esistenza umana

Una delle prerogative essenziali riconosciute rimane quella di essere attenti ai bisogni del territorio che viviamo e delle persone che vi abitano. Alle parrocchie si richiede di prestare maggiore impegno per esercitare la carità mettendo in atto concretamente quella cura, quella tenerezza, quella prossimità che impariamo dal Vangelo e che comprendiamo nei sacramenti.
Occorre così fare crescere la dimensione caritativa all’interno delle nostre parrocchie, cercando di avere un quadro sempre aggiornato delle situazioni di particolare disagio che necessitano di assistenza, famiglie in difficoltà economica, anziani soli, persone disagiate, senza fissa dimora. Senza avere la pretesa di fare tutto da soli ma anzi cercando e favorendo la collaborazione con le altre agenzie di assistenza presenti nel territorio.
Evitare l’eccessiva burocratizzazione del sistema di aiuti ed assistenza e favorire piuttosto la vicinanza umana degli operatori della parrocchia che si prestano a questo servizio per dimostrare concretamente non solo l’aiuto materiale ma anche un conforto nel disagio, una presenza che rassicura. Si richiede di investire anche nella formazione specifica di operatori dedicati all’assistenza a persone ammalate ed anziani o per gestire uno sportello di ascolto.
Si auspica una Chiesa che sia sempre più in “uscita”, che abbia uno sguardo verso il futuro, capace di coinvolgere con più entusiasmo ed avvicinare tutti nei vari ambienti di vita.
Si evidenzia anche un senso di emarginazione e disgregazione nel tessuto della comunità, scaturito da rapporti relazionali complessi e conflittuali. La mancanza di unità tra le parrocchie di una stessa città, ad esempio, inibisce il senso di comunità e di crescita di una intera comunità.
Non si riconosce alle parrocchie la capacità di rivolgersi facilmente verso quanti vivono situazioni matrimoniali irregolari, omosessuali, emarginati, poveri, immigrati, malati, sia a causa del pregiudizio che per una mancanza di formazione spirituale e dottrinale adeguata.
Il rischio è quindi che l’accoglienza rimanga nella sfera concettuale ma non si traduca in atteggiamenti concreti di vicinanza, di prossimità, verso fatti e persone o problematiche sociali note in mezzo alle quali tutti noi viviamo.
Da questa analisi non sono esclusi i sacerdoti che per primi dovrebbero essere testimoni di una accoglienza libera da giudizi e preconcetti, aperti a relazioni più umane e fraterne, più vicini alla gente, alle famiglie e alle loro fragilità. Anche le celebrazioni hanno bisogno di recuperare questo aspetto ed essere il luogo spirituale dove tutto l’impegno della parrocchia per avvicinare ed accogliere i fedeli viene sublimato.
L’accessibilità ai luoghi di culto e ai locali annessi per le varie attività dovrebbe essere maggiormente garantita durante la giornata sia per favorire la possibilità di una sosta spirituale che per porre in essere iniziative ricreative o formative. Non da meno la presenza del sacerdote che potrebbe assicurare un servizio di ascolto oltre che amministrare la riconciliazione ed essere di riferimento al bisogno per le diverse esigenze che si dovessero presentare.
Si avverte l’esigenza di crescere tutti su questo aspetto, per superare un’idea di fede a misura di se stessi e di Chiesa che si appaga delle proprie sicurezze e non si spinge a fare un passo avanti, rischiando di più, prendendo posizione con coraggio verso le categorie più fragili, rivedendo il linguaggio per poter dialogare con i giovani del nostro tempo, testimoniare la povertà evangelica, annunciare la misericordia, vivere la quotidianità del territorio in cui opera e desiderare di entrare nell’intimità delle singole case, abitare realmente e non solo idealmente.
Dal punto di vista della comunicazione, tenendo conto del valore aggiunto risultato dall’utilizzo dei social in maniera costruttiva – in particolare nel tempo della pandemia – appare opportuno ed utile pubblicizzare quanto di buono la Chiesa riesce a realizzare, così da poter diffondere le buone prassi e le iniziative avviate.

Una Chiesa di popolo corresponsabile

La Chiesa siamo noi e quindi spetta a noi vivere la missionarietà e la testimonianza. Occorre aiutare i laici ad assumersi le proprie responsabilità, facendoli diventare soggetti a pieno titolo, con un coinvolgimento più autentico e significativo che esprima al meglio il proprio ruolo nella comunità ecclesiale.
Invogliati dall’allentamento delle restrizioni avute durante la pandemia, bisogna rilanciare senza indugi le attività in presenza, gli oratori, gli incontri di fraternità e convivialità per accrescere la partecipazione attiva alla vita della parrocchia del maggior numero di persone, favorendo le relazioni tra le varie componenti e di conseguenza diventando attraenti verso quanti si avvicinano. Sono proprio gli incontri formativi, gli eventi culturali, i momenti conviviali che sono sentiti come determinanti per generare delle relazioni vere ed autentiche; possono essere le occasioni opportune per conoscersi, ascoltarsi e far maturare la percezione di appartenere ad una comunità.
In questi contesti ci si educa alla collaborazione, imparando ad apprezzare e valorizzare i talenti di ognuno. Anche il sacerdote che guida la comunità deve avere a cuore di creare queste condizioni, tenendo in giusta considerazione l’apporto dei laici nelle attività della parrocchia ma non solo nella fase meramente esecutiva.
Il laicato proprio per questo deve essere maggiormente valorizzato nella formazione e nella corresponsabilità, con particolare attenzione da parte della Chiesa alla antropologia e alle scienze umane, oltre che ai contenuti della fede cattolica, per saper comprendere al meglio la complessità dell’uomo dei nostri tempi, i suoi bisogni e le sue fragilità.
Da più parti viene indicata la necessità di avviare una riforma dei Seminari per la formazione del clero, perché i giovani sacerdoti siano adeguatamente preparati ad affrontare le sfide e le esigenze che incontreranno assumendo la responsabilità di una parrocchia. Addirittura c’è chi ritiene che i preti dovrebbero sposarsi per comprendere pienamente cosa significa avere una famiglia.
All’unisono emerge un riferimento significativo della figura sacerdotale in quanto lo si vede come presenza necessaria e guida del popolo di Dio. Tuttavia, nei confronti dei sacerdoti, il giudizio è piuttosto severo:
– sacerdoti più burocrati che testimoni di fede;
– linguaggio autoritario e retrogrado;
– autoreferenziale;
– assenza di accoglienza, di dialogo e di ascolto;
– incapacità ad allargare gli orizzonti e ad investire sull’aggiornamento e su una solida formazione spirituale e umana che coinvolga anche le dinamiche relazionali;
– molte prediche ma poca credibilità di vissuto spirituale.
Nello stesso tempo, però, si riconosce che diversi sacerdoti vivono l’esperienza della solitudine, e nonostante i diversi impegni che sono chiamati a svolgere sia all’interno della comunità che fuori, non si sentono pienamente integrati in un vissuto comunitario.
Ciascuno, in definitiva, avrà cura di fare la propria parte e si potrà concretamente ed autenticamente realizzare quel “camminare insieme” auspicato dal quesito fondamentale del Sinodo.

Una Chiesa distante dai giovani e dalle famiglie

Questo punto necessita di maggior spazio. Ribadiamo che qui la sintesi fa ampio riferimento, oltre ai gruppi sinodali parrocchiali, anche e soprattutto agli incontri scolastici e ai questionari giunti on-line. Ci troviamo di fronte ad una richiesta forte di cambiamento da parte dei giovani nei confronti della Chiesa, ad una richiesta di utilizzare un linguaggio nuovo che li possa fare entrare veramente dentro quei valori evangelici che non vengono disdegnati, anzi vengono affermati e incoraggiati.
Dinanzi alla domanda di come oggi la nostra Chiesa riesce a camminare insieme risulta ricorrente il segnale di allarme sull’allontanamento delle fasce giovanili e delle famiglie in gran parte delle nostre parrocchie. Di certo dovrebbe essere la comunità ecclesiale ad avvicinarsi loro, aprendosi al dialogo con il coraggio di affrontare anche argomenti difficili e complessi non per dare risposte ma per rendersi disposti ad un confronto aperto. Si pensi ai temi etici (aborto, eutanasia, testamento biologico) come a quelli legati alla sessualità e all’affettività, oltre che l’attenzione maggiore alle situazioni familiari dei conviventi, dei separati e dei divorziati risposati.
Del resto bisogna ammettere che la Chiesa nel contesto sociale non ha più il primato di un tempo ed è percepita come staccata dal contesto socio-culturale e non desta particolare interesse. Si è sfuggiti dalla Chiesa istituzione rinchiudendosi in una fede privata, una fede soggettivistica e a “modo mio”. Per alcuni l’allontanamento dalla pratica religiosa e dagli ambienti ecclesiali locali (per cause personali, legate talvolta alle persone, o alla Chiesa come istituzione), ha portato in molti casi non tanto all’abbandono della fede, ma piuttosto, all’approdo ad una fede solitaria e privata, con riflessi negativi sull’effettiva qualità della fede. Pertanto, una vita cristiana privata dal supporto e dal fondamento della comunità, ha generato appunto una fede “soggettivistica”, impoverendo la fede dalla dimensione spirituale, sociale, culturale.
Si sta inoltre diffondendo uno scoraggiante e paralizzante “pessimismo sull’azione” del singolo, circa il ruolo e l’influenza dei cristiani nel contribuire fattivamente all’edificazione del bene comune per “cambiare il mondo”: “Ma noi cosa possiamo fare? Troppi disastri…non ultima la guerra. L’azione di pochi, non può controbattere tutti i disastri che si stanno verificando nel mondo, troppa cattiveria, troppo egoismo…la speranza dei cristiani è vana, è solo un conforto”.
È solo una constatazione, o dietro a queste parole c’è una richiesta di aiuto, un riconoscimento della condizione di fragilità umana che porta i giovani, seppur in modo inconscio a chiedere aiuto alla Chiesa?
I giovani si rivelano dunque ricchi di valori umani e culturali che la Chiesa deve saper accogliere e valorizzare: credono ancora nell’amore, nella solidarietà, nell’accoglienza, in tutto ciò che favorisce l’autenticità dei rapporti. Al contrario non accettano regole astratte e vedono la Chiesa arroccata nei propri dogmi, giudicante, rigida e lontana dalla vita reale. Non di meno si rileva una diversità di linguaggio, assolutamente distante da quello con cui i giovani comunicano tra loro. Alla domanda di rinnovamento della Chiesa quasi tutti hanno manifestato l’importanza di un sano utilizzo dei social.
Spesso i giovani si sentono messi da parte, visti con ostilità perché portatori di un cambiamento. Il non-ruolo dei nostri giovani all’interno della Chiesa nasce da una parte per effetto dei disvalori che vengono loro propinati, dall’altra per la scarsa capacità della Chiesa di attirarli. Tuttavia emerge il desiderio di farne parte, nell’accoglienza senza pregiudizi e nel parlare chiaro del dialogo.
La richiesta che viene dai giovani è quella di una Chiesa attenta, umile, più vicina, che ascolta, più aperta ai cambiamenti, non giudicante, “educante” verso i giovani, trasmettendo fiducia e speranza, più empatica, in uscita, meno complessa e più semplice, un luogo più comune, più “ospedale da campo”, con uno spirito evangelico e missionario, non chiudendosi nelle sue strutture più temporali che spirituali, meno bigotta, meno burocratizzata, promuovendo l’uguaglianza e la libertà, più comunicativa, seguendo di più gli insegnamenti di Gesù, vivendo di più la carità, maggiormente elastica, condividendo la vita quotidiana delle persone, dialogando con tutti, molto più onesta moralmente, con meno pregiudizi, essendo meno ipocrita, immedesimandosi di più con la gente, più tollerante, aperta alle problematiche della società in cui viviamo e aderente alla storia, che non ha preclusioni a introdurre ed affrontare temi più legati alla realtà concreta. Diventare sempre più la “Chiesa dei poveri, degli ultimi, dei dimenticati”.
Una Chiesa che trasmetta la bellezza della fede con sacerdoti e vescovi più preparati. Un buon numero (tanti) denunciano un malcontento nei confronti dei sacerdoti (che non sanno relazionarsi e accogliere e decidono tutto loro) e anche nei confronti del Vescovo da alcuni un certo malcontento. Si chiede maggiore attenzione alle omelie. Una Chiesa che dica a tutti l’amore di Dio. Una Chiesa aperta a tutti e che accolga senza distinzione. Una grande famiglia…tutti insieme…Chiesa-CASA di tutti.
Una Chiesa che comprenda e che abiti la modernità. Una Chiesa più autentica e più vicina alla gente e più attenta ai problemi sociali; infatti prevale una Chiesa lontana dai loro desideri e dai loro interessi. Questo lo chiedono anche alla società. L’inclusione deve essere la parola d’ordine e non l’esclusione. Accettare i cambiamenti richiesti dalla società.
I ragazzi sperano in una Chiesa che li protegga, più “aperta”. Il problema religioso diventa un luogo aperto per i giovani in cui coesistono scelte personali e orientamenti diversi, che riflettono l’eterogeneità e la pluralità dei percorsi di socializzazione e dalle varie opzioni di vita che via via emergono dalla secolarizzazione. Riportiamo un’affermazione tra le tante: “Chiesa libera, non giudicante, senza ‘pontificatori moralisti’ ma fatta di veri pastori che accolgono chi chiede un aiuto, un conforto e una speranza. L’uomo ha bisogno di sapere per quale motivo credere in Cristo, chi sia davvero Dio Padre e cosa, per Amore, ha operato per noi. Io sogno una Chiesa che insegni a comprendere la Parola, che insegni ad amare il prossimo, che non denigri nessuno, che non si serva di idoli per avere adepti”.
Si dovrebbe stabilire un equilibrio tra il cambiamento, che serve per rinnovarsi, e comunque ciò che rimane immutato e dà stabilità. Un’altra citazione: “Non sogno una Chiesa a mio gradimento, la Chiesa è quella fondata da Gesù. Allontanarsi dalla Tradizione non attira più fedeli. Le chiese erano semi-vuote anche prima della pandemia”.
Anche dai giovani che frequentano e sono impegnati attivamente nelle parrocchie con attività oratoriali e di pastorale sportiva, pur sottolineando di trovarsi bene come in famiglia, emergono richieste analoghe, oltre che ovviamente la possibilità di avere più spazi ed occasioni per vivere momenti di festa e convivialità. Proprio su questo fronte sono molteplici le richieste anche di maggiori sforzi ed investimenti per potenziare la disponibilità di strutture da adibire alle attività giovanili.
Pure le famiglie si percepiscono e sono effettivamente distanti dalla comunità ecclesiale. La causa prevalente indicata è la mancanza di accoglienza, di ascolto e quindi di incontro. Come già accennato si richiede maggiore attenzione nei confronti delle famiglie in difficoltà, comprendendone le fragilità e abbandonando quella rigidità morale sui temi della famiglia e delle relazioni; sono il primo approccio che si chiede ad una Chiesa di misericordia. I temi di pastorale familiare affrontati dalla Amoris laetitia rischiano di rimanere oggetto di incontri di formazione ma non riescono ancora a calarsi nella realtà concreta.

3. Scegliere

Dall’individuazione dei punti cardine ed analizzando le varie espressioni raccolte sembra necessario partire da una considerazione: i gruppi e le parrocchie nel loro insieme si percepiscono più come istituzione che come esperienza di comunità.
La riscoperta dell’ascolto e del suo valore è possibile pienamente solo se si comprende di essere comunità cristiana, alimentando il desiderio di farne parte. Tutte le attività proposte o i correttivi da porre in essere hanno un significato e possono essere fruttuosi se si desidera, con essi, ricostruire e rinsaldare il legame comunitario.
Anche l’accoglienza non può essere pensata solo quale modalità di approccio comportamentale. Deve abbandonare nella sua pratica la sfera concettuale in cui la releghiamo, ridotta ad una mera prassi di galateo, per essere concreta ed esperienziale. Accogliere è fare spazio all’altro.
Diventa altresì fondamentale non lasciare i sacerdoti da soli, facendo interagire la realtà sacerdotale con quelle consacrate e laiche. Si avverte sempre più l’esigenza di camminare insieme, creare una rete, trovare punti d’incontro, superando le divisioni interne ed essere veri testimoni. Coinvolgere tutta la comunità per un maggior impegno di ascolto dei bisogni dei giovani e delle fasce più deboli, come gli anziani.
Spesso prevale una concezione di Chiesa clericale dove, nel bene o nel male, la parte fondamentale viene assegnata al sacerdote. E ciò può anche dare rassicuranti giustificazioni a tanti laici a non impegnarsi o a farlo fino ad un certo punto. Adottare sempre lo “stile sinodale” come stile di ogni gruppo e della Chiesa locale e diocesana.
Rispetto a quanto è emerso sulle famiglie e sulla distanza dai giovani è la Chiesa-comunità (non solo il prete) che deve “muoversi” preoccupandosi di cercarli, intercettarli, raggiungerli, accoglierli, rispondendo ad una azione dinamica di amore-misericordia di cui l’intera comunità deve essere portatrice e testimone.
La voce dei giovani o le parole dei giovani fanno cogliere la rimozione dalla memoria delle giovani generazioni del “sensus fidei”. Chiaramente risulta interrotta, in modo rilevante, la trasmissione della fede che prima avveniva da una generazione all’altra in modo connaturale (ad esempio in molti incontri della scuola dell’infanzia e primaria i docenti hanno rilevato che molti dei bambini non vanno in chiesa perché i loro genitori non li accompagnano). Anche se possiamo cogliere, nei più, una reale presenza del senso religioso, dobbiamo constatare che esso non viene intercettato dalla proposta cristiana.
Le riflessioni dei giovani rappresentano un’opportunità per una “metanoia” che rafforzi nella Chiesa lo spirito evangelico e la renda capace di maggiore “contemporaneità”. Essa oggi più che mai, deve necessariamente avvicinarsi al mondo, scrutando nei segni dei tempi le “attese e le speranze dei giovani”. L’opera di ringiovanimento della Chiesa inizia “ascoltando” e interpretando quei segnali che provengono proprio dal mondo giovanile. Sfatiamo il pregiudizio secondo cui ai giovani non interessa nulla della Chiesa, essi ricercano in essa, seppure a tentoni un “porto sicuro”.
Non dimentichiamoci che una Chiesa per essere vera e capita in un contesto ha bisogno di essere inculturata, una Chiesa che possa generare nuovi credenti sotto le condizioni di vita, di cultura e di modelli sociali attualmente dati. Allora perché ci si ostina nelle nostre realtà ecclesiali a rispondere a domande che forse non si pone più nessuno?
Dalla nostra sintesi giunge in definitiva – un “grido” trasversale alla Chiesa, non solo da parte dei giovani ma che attraversa tutte le generazioni, volto ad attuare una pastorale che:
– si nutra di vita;
– parli il linguaggio della quotidianità e dell’attualità;
– scenda nelle profondità delle fragilità umane e ne curi le sue ferite.
Si auspicano di conseguenza delle buone prassi:
a) vicinanza del Vescovo, anche con la Visita pastorale, e di tutto il clero, espresse con semplicità, abbandonando atteggiamenti clericali;
indicazioni di ricerca dell’essenziale in ogni parrocchia, privilegiando tali scelte anche sul piano economico;
nuova visione della formazione del clero (seminario) alla luce anche delle scienze umane e sociologiche oltre che la formazione permanente del clero;
favorire iniziative fra le parrocchie dello stesso territorio, per far crescere la comunione fra sacerdoti e laici;
b) garantire l’ascolto anche nelle situazioni sommerse e di povertà culturale, progettando percorsi di integrazione attraverso azioni inclusive e non solo di assistenza materiale;
c) pastorale di formazione della persona: dalla catechesi della iniziazione, al matrimonio, alle giovani coppie, alle famiglie, assicurando accompagnamento e curando le situazioni di difficoltà e di crisi;
educazione all’affettività nella fase adolescenziale;
affiancamento al parroco sul discernimento per l’applicazione di Amoris letitiae;
d) pastorale per le persone anziane e sole, sviluppando un servizio di rete con le istituzioni pubbliche e le risorse del territorio;
e) maggiore coinvolgimento delle donne nei diversi ambiti pastorali;
f) bioetica: conoscenza e discernimento;
g) utilizzo dei linguaggi multimediali.
Ci piace concludere il nostro lavoro – anch’esso sinodale – di sintesi con quello che dice una ragazza di seconda media: “Forse la Chiesa che vorrei è solo frutto di un sogno ma io in questo sogno ci voglio credere e prego, chiedendo a Dio di iniziare da me e con me per migliorare la Chiesa e poi mi piacerebbe che sulla porta della Chiesa ci fosse l’insegna AMORE!”.
Mettiamo più coraggio nelle scelte ed adottiamo una modalità più chiara nell’esprimerci, sforzandoci di costruire un dialogo sempre più fraterno, dove le differenze sono considerate opportunità e ricchezza. Con questa consapevolezza “camminiamo” con il consiglio ed il dinamismo dello Spirito Santo, forza creatrice che fa nuove tutte le cose.

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27 Aprile 2022
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