COMMENTO AL VANGELO / XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

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Commento di Don Orazio Tornabene

«Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime»  (Lc 21, 19)


Le letture di questa domenica ci pongono davanti a un messaggio di speranza che nasce dentro il travaglio della storia.

Il Vangelo (Lc 21, 5-19) ci porta nel cuore del discorso escatologico di Gesù: mentre alcuni ammirano la bellezza del tempio di Gerusalemme, Egli annuncia che non resterà pietra su pietra. Parole dure, che suscitano paura, ma Gesù non vuole spaventare, bensì purificare lo sguardo dei discepoli: la vera sicurezza non si trova nei templi, nelle strutture o nelle ricchezze, ma in Dio solo.

Le guerre, le carestie, i terremoti e le persecuzioni non sono segni della fine, ma occasioni per testimoniare la fede.

“Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21, 19).

È un invito alla fiducia, alla resilienza spirituale: Dio è fedele e, anche nelle prove, non ci abbandona. Il mondo può tremare, ma la speranza del credente rimane salda, perché fondata sul Signore. Tutto passerà dalla scena di questo mondo, solo Dio, e ciò che ha rendendo, non finirà mai.

Il profeta Malachia parla di un “giorno rovente come un forno” che consumerà il male, ma per “voi che temete il mio nome sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici”. Ecco l’immagine che illumina questa domenica: non la paura, ma la luce; non la distruzione, ma la rinascita. Dio non annienta, purifica; non spegne, riscalda; non condanna, salva.

San Paolo, nella seconda lettera ai Tessalonicesi, ci richiama invece alla responsabilità quotidiana: non vivere nell’ozio, ma lavorare con impegno e sobrietà.

È una parola preziosa in questa IX Giornata Mondiale dei Poveri, che Papa Leone ha voluto sul tema: «Sei tu, mio Signore, la mia speranza».

La speranza del povero non è illusione, ma fiducia concreta che Dio non dimentica nessuno dei suoi figli. E Dio si serve delle nostre mani per rendere visibile questa speranza.

La fede, che attende la venuta del Signore, non è evasione, ma impegno concreto nella storia: una Chiesa che prega nell’attesa è la stessa che si china sui poveri, che rialza chi è caduto, che condivide ciò che ha. Siamo allora chiamati a riconoscere nei poveri non un fastidio, ma un luogo di incontro con Cristo.

Le opere di misericordia non sono accessori del Vangelo, ma la sua carne viva. Chi vive la speranza cristiana non accumula, ma dona; non si chiude, ma costruisce comunione.

Come scrive il salmista: “Sei tu, mio Signore, la mia speranza”.

Questa fiducia, incarnata nei gesti dell’amore quotidiano, diventa profezia: nel mondo ferito da ingiustizie, il cristiano è segno di un futuro che non finisce, di una luce che nessuna notte può spegnere.

Il tempo liturgico volge al termine e la Parola ci prepara all’incontro con Cristo Re: non un giudice temibile, ma un Signore che riconosce come suoi quelli che hanno amato i piccoli, i poveri, i sofferenti.

Viviamo, allora, questi ultimi giorni dell’anno liturgico con lo sguardo fisso sul Signore della storia e con le mani tese ai fratelli: perché la speranza che ci abita diventi speranza anche per loro.

Buona Domenica a tutti

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15 Novembre 2025
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