Commento di Don Orazio Tornabene

«I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8)
Il Vangelo di oggi ci presenta una parabola sorprendente e, a prima vista, spiazzante: quella dell’amministratore disonesto.
Gesù racconta di un uomo che, accusato di sperperare i beni del padrone, escogita un piano per assicurarsi un futuro: riduce i debiti ai creditori, guadagnandosi così la loro amicizia. E il padrone, anziché condannarlo, ne loda la scaltrezza.
La parola chiave che Gesù sottolinea è la prudenza: «i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8).
Non si tratta, ovviamente, di elogiare la disonestà, ma di richiamare i discepoli a usare con intelligenza e creatività i beni di questo mondo, per scopi che hanno valore eterno. I beni terreni sono transitori, ma possono diventare occasione di carità, di condivisione, di giustizia.
La ricchezza non è cattiva in sé: diventa pericolosa quando ci rende schiavi, quando ci chiude nel nostro egoismo, quando ci fa dimenticare che tutto è dono.
Noi tutti siamo amministratori di ciò che abbiamo, perché il vero Signore di tutte le cose è Dio. Perciò facciamoci furbi: conquistiamo il Paradiso con i beni che Dio ci affida.
Le ricchezze, tuttavia, tendono a prendere il dominio su di noi. Per questo Gesù ammonisce con chiarezza: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13). Il cuore non può essere diviso: o è di Dio, o è delle ricchezze.
Nella prima lettura, il profeta Amos ci mette in guardia con parole durissime contro chi sfrutta i poveri, manipola le misure e pensa solo al guadagno, dimenticando che Dio ascolta il grido degli oppressi.
È un monito sempre attuale: l’ingiustizia economica e sociale non passa inosservata agli occhi di Dio.
San Paolo, nella seconda lettura, ci invita alla preghiera universale, per tutti gli uomini e anche per chi governa: l’atteggiamento cristiano non è chiudersi nel risentimento, ma costruire vie di pace e di fraternità.
Allora la domanda per ciascuno di noi è: come uso i beni che il Signore mi ha affidato?
Li considero miei o come dono da condividere? Sono pronto a “investirli” in amicizie eterne, cioè in gesti di amore, di solidarietà, di giustizia, che non andranno perduti davanti a Dio?
Questa Domenica lasciamoci provocare dalla parabola: i figli delle tenebre spesso sono più furbi nel cercare i loro interessi di quanto noi lo siamo nel cercare il Regno. Ovviamente, non si tratta di imitare la furbizia egoistica, ma di lasciarci scuotere e diventare più decisi, più pronti, più creativi nel bene.
La vera ricchezza non è ciò che accumuliamo, ma ciò che doniamo. Non ciò che tratteniamo per noi, ma ciò che mettiamo nelle mani di Dio e dei fratelli.
Buona Domenica a tutti
