
“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò” (Is 66,13)
Commento di Don Orazio Tornabene
Le letture di questa domenica ci conducono alla comprensione di Dio. Egli promette fiumi di pace (Is 66,12) e per questo motivo invia i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10,3). La pace vera passa dall’assenza di beni che aumentano la cupidigia. Dio annuncia una consolazione materna e chiede ai suoi operai di non portare nulla con sé, se non la parola della pace e la potenza mite del Vangelo. Perché il discepolo confida solo in colui che lo ha chiamato e inviato.
Fiumi di pace: la promessa di Dio (Isaia 66,10-14c)
Nel cuore della prima lettura c’è un’immagine tenerissima e potente: la consolazione di Dio è come quella di una madre. Gerusalemme, ferita e devastata dall’esilio, viene ricondotta alla speranza attraverso una visione di ristoro, abbondanza, maternità e tenerezza.
È Dio che si prende cura del suo popolo come una madre che accarezza, nutre e consola.
Questa è la sorgente: Dio è pace, Dio è consolazione, Dio è maternità. Ma questa pace non è evasione, né isolamento: è una pace che ci viene donata perché possiamo diventare portatori di pace.
“Pace a questa casa”: la missione dei discepoli (Luca 10,1-12.17-20)
Gesù invia i suoi a due a due. Non da soli, ma in fraternità. E non con mezzi di potere, ma scevri, vulnerabili, con la sola forza del Vangelo.
Il saluto portato, “Pace a questa casa”, è l’annuncio della vicinanza del Regno. È una pace concreta: si guariscono i malati, si condividono i pasti, si vivono relazioni semplici e ospitali.
La pace di Dio non è una parola astratta, ma una presenza incarnata. Dove entra un discepolo vero, entra Cristo stesso. Dove entra Cristo, la vita rinasce.
E, tuttavia, non sempre il Vangelo sarà accolto. È previsto anche il rifiuto. Ma nemmeno il rifiuto può cancellare la verità: “Il Regno di Dio è vicino”.
I discepoli gioiscono perché vedono il male che retrocede, ma Gesù li invita a non cercare il potere, bensì la gratitudine di avere il nome scritto nei cieli: cioè di essere conosciuti e amati da Dio.
Vantarsi solo della croce (Galati 6,14-18)
San Paolo completa il quadro. Essere discepoli non è un titolo d’onore umano, ma una vita trasformata.
Non si tratta di portare i segni del successo, ma le stigmate del Crocifisso. Solo nella croce di Cristo si manifesta la pace che Dio vuole: una pace che nasce dal dono totale di sé.
Chi vive di Cristo diventa segno vivente della Sua Pasqua: pace donata, pane spezzato, parola che guarisce, presenza che consola.
In questa domenica, dunque, Isaia ci mostra la sorgente della pace: il cuore di Dio che consola come una madre.
Il Vangelo ci mostra la via della pace: camminare leggeri, come agnelli, annunciando con la vita che il Regno è vicino.
Paolo ci mostra la forma della pace: la croce di Cristo, in cui si rivela l’amore che salva.
Allora, come discepoli, non basta parlare di pace, occorre diventare operatori di pace: portando la Parola restando nei luoghi che ci accolgono e non perdere tempo per l’annuncio, guarendo ciò che è ferito e donando noi stessi come Cristo ha fatto.
“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò”: il volto materno di Dio si rende visibile nel volto di chi va, dona, consola e serve nel nome del Vangelo.