LE INDICAZIONI PASTORALI 2024-25 DEL VESCOVO RASPANTI PER I FEDELI

2024/2025

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La responsabilità di decidere

Il vescovo Antonino Raspanti esprime gratitudine per il supporto dei sacerdoti e degli operatori pastorali durante la Visita Pastorale e il Cammino Sinodale . Sottolinea l’importanza di affrontare le sfide attuali con la forza del Vangelo e invita alla responsabilità di annunciare la fede in tempi difficili. Discute dei temi principali emersi dal Cammino Sinodale, come la formazione alla fede e la corresponsabilità, riflettendo sulla necessità di adattare il linguaggio e le pratiche pastorali alla contemporaneità. Infine, presenta l’anno giubilare come occasione di speranza e riconciliazione per la Chiesa locale.

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Cari Fedeli,

l’anno pastorale nel quale entriamo è pieno di appuntamenti che desideriamo vivere come doni dello Spirito. Mentre prosegue la Visita Pastorale nelle Parrocchie giungiamo all’anno conclusivo del Cammino Sinodale delle Chiese in Italia, che coincide con la celebrazione dell’Anno Giubilare ordinario della Chiesa. L’anno appena trascorso ha posto tante premesse per comprendere come meglio accogliere le proposte delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali, emerse nei vari appuntamenti sinodali, come pure alcune decisioni valutate e intraprese con gli organi di partecipazione diocesani e con gli uffici curiali per condurre al meglio la missione ecclesiale a noi affidata. Di tutto questo desidero ringraziare i sacerdoti, i diaconi e tutti gli operatori pastorali.

  1. Gli inizi della Visita Pastorale sono molto promettenti, perché avverto che le comunità parrocchiali e quelle civili manifestano la sete del Vangelo, della fraternità, della speranza, ed esprimono la necessità di essere sostenute dall’istituzione ecclesiale. Ovviamente emergono i limiti, che ben conosciamo, ma è incoraggiante percepire la voglia di reagire, seppur a fatica. La fatica appartiene a questo tempo della nostra società siciliana, povera di giovani, con quel che questo comporta: mancanza di fiducia nel futuro, carenza di energia vitale di impegno, scarsa apertura a nuove prospettive. Eppure il Signore ci ha posto qui e adesso! La forza del suo Vangelo non viene meno, anzi richiede a ciascuno la piena responsabilità di annunciarlo. Di fronte e dentro le crisi, i discepoli di Gesù hanno il mandato di testimoniare “di lui” (cf. At 1,8). Egli non promette benessere terreno o privilegi di sorta, ma si unisce a noi nel condurre avanti la quotidianità con i suoi pesi e le sue gioie. Nel cammino non siamo da soli o senza speranza in quel che più conta: l’eternità. «Il Golgota e il sepolcro non possono essere aggirati, ma – come ha fatto il Signore – vanno percorsi e abitati; non come dimore stabili, ma come luoghi nei quali aprire lo spiraglio dell’eternità» (Lineamenti per la prima Assemblea Sinodale delle Chiese che sono in Italia, 7). La prospettiva dell’eternità fonda il nostro impegno terreno, la fiducia nel perseguire i valori più alti dell’umanità, nel sapere che la giustizia è certa e congiunta alla misericordia. Forti di questa comunione di vita con Lui e, di conseguenza tra di noi, noi parliamo con coraggio, sicuri di non essere smentiti se non dalle nostre stesse mancanze.
  2. L’intreccio della Visita con il Cammino sinodale è quanto mai fruttuoso, non solo perché possiamo insieme discutere le problematiche pastorali, ma anche perché siamo spinti a prendere insieme delle decisioni. Lo scorso anno il Consiglio Pastorale Diocesano tra i cinque macro-temi proposti dal Comitato Nazionale del Cammino Sinodale ha scelto di approfondire quello della formazione alla fede e alla vita e quello della sinodalità e della corresponsabilità. Così l’equipe diocesana ha animato la fase profetica nei diversi vicariati, soffermandosi su questi due temi. Infine, l’equipe ha collazionato i vari contributi allestendo la nota a tutti presentata in assemblea e inviata al Comitato Nazionale. Quest’ultimo ha raccolto il materiale pervenuto dalle Diocesi e ha steso i Lineamenti, approvati dal Consiglio Episcopale Permanente. Su questo testo lavoreremo, perché da esso le Chiese che sono in Italia, quindi anche noi, muoveremo per redigere lo Strumento di Lavoro durante la prima Assemblea Sinodale nazionale del prossimo novembre. Io stesso mi ispiro in queste pagine ai Lineamenti appena ricevuti, facendo solo qualche sottolineatura dalla prospettiva della nostra Chiesa. Il cammino che stiamo tracciando insieme, sinodalmente, condurrà a decisioni che saranno prese sul piano nazionale, mentre altre dovremo assumerle da noi per la Diocesi.

La scelta dell’icona biblica che accompagna quest’anno l’intera Chiesa nazionale è quella della Pentecoste; si intuisce facilmente il motivo della scelta, dovendo focalizzare l’attenzione sull’anima della comunità cristiana, che è lo Spirito donato da Gesù Risorto, Abbraccio che tiene unito il Corpo della Chiesa, come tiene uniti il Padre e il Figlio, e noi in loro. Noi cerchiamo di discernere quel che Dio chiede alla nostra Chiesa, tentando di ascoltare questo Spirito secondo le pratiche tramandate dai nostri Padri, prima fra tutte la preghiera unanime e l’Eucaristia, l’ascolto del Magistero, l’affetto della carità vicendevole.

Per definizione il cambiamento spiazza le persone e noi siamo un po’ spiazzati dalle nuove situazioni che si manifestano nelle comunità cristiane. “La missione nello stile della prossimità”, cui il Papa invita e che è scelta dalla Chiesa italiana, non sempre ci trova pronti e forse nemmeno profondamente convinti, almeno nelle conseguenze pratiche. «La missione nello stile della prossimità vive la logica della profondità più che la logica dell’estensione, la cura della qualità più che la smania della quantità, il desiderio della relazione più che il rigore dell’organizzazione» (Lineamenti, 8). Sentiamo qui risuonare echi dalla Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Qualsiasi soluzione si volesse intraprendere, in una direzione o in un’altra, non possiamo non prendere atto della debolissima tensione della fede presente nel popolo cristiano del nostro territorio, che ha come conseguenza la flebile trasmissione alle giovani generazioni del proprio Credo. Davanti a questa vera e propria sfida penso che dobbiamo insieme riflettere e trovare soluzioni condivise, anche diversificate per i diversi territori, ma comunemente accolte, per non confondere i fedeli. E questo non può che avvenire raccogliendo il comando di Gesù che implica la testimonianza della vita. Dire con la vita che Gesù Cristo è il Signore; dirlo insieme, nell’unità per la quale Gesù ha pregato, è parte della testimonianza medesima!

  1. Dovremo lavorare – si diceva – attentamente sui suddetti Lineamenti, perché siamo chiamati a offrire il nostro contributo, intorno al quale la prima Assemblea sinodale nazionale dovrà esprimersi, e soprattutto a prepararci in seguito a discutere lo Strumento di lavoro e recepire infine le decisioni nazionali, oltre che improntarvi le decisioni diocesane. I Lineamenti hanno individuato «tre grandi istanze riformatrici di fondo, dentro all’unico orizzonte missionario. La prima coinvolge direttamente le dinamiche comunitarie, favorendo prassi pastorali rinnovate nei linguaggi e nei contenuti, generative di cultura intesa come spazio di dialogo tra rivelazione cristiana e vissuti contemporanei. La seconda ruota attorno al decisivo tema della formazione alla fede e alla vita, che nutre la conversione personale e abilita i battezzati alla testimonianza e al servizio nella comunità civile ed ecclesiale. La terza fa leva sulla corresponsabilità, come stile e criterio di verifica delle strutture ecclesiali: ministeriali, organizzative, partecipative, materiali.» (Lineamenti, 14). Mi limito a riprendere brevemente queste istanze, non nuove per noi, come si può evincere anche dalle Indicazioni Pastorali che ho offerto negli anni scorsi.
  2. Alla prima istanza ho fatto particolare cenno nelle Indicazioni Pastorali dello scorso anno. «Uno dei nodi affiorati in questi anni è quello della cultura. La sensazione prevalente dei credenti che vivono nelle nostre comunità è anzitutto di un discorso cristiano che sembra essere diventato insignificante per la vita delle persone. Si sente il bisogno di una comprensione del cristianesimo, e quindi anche di una formulazione del suo messaggio, che respiri realmente dei paradigmi culturali del nostro tempo, pena la sua insignificanza» (Lineamenti, 17). É questo il nodo più difficile da sciogliere, sia per la sua complessità sia per la vastità di tempo e luogo che investe; ed è in questo campo che si registrano «marcate divisioni tra i cattolici, troppo spesso più sensibili alle appartenenze ideologiche e partitiche che a quella ecclesiale». Qui infatti la profezia diviene scelta di valori e significati da veicolare nel vissuto quotidiano, senza paura di marcare la differenza cristiana insita nella testimonianza. Tale testimonianza si costituisce in se stessa e si esprime in un linguaggio che non può non essere quello della contemporaneità. Ma avvertiamo la distanza, oggi crescente, del nostro linguaggio rispetto a quello delle persone, palesata in modo quasi impietoso nella distanza marcata dai giovani verso la Chiesa, verso i suoi riti, le sue parole, le sue consuetudini. «Il tema del linguaggio e della comunicazione si è presentato in questi tre anni non come semplice problema strumentale, cioè sul come la Chiesa può trasmettere meglio il Vangelo, con quali mezzi e accorgimenti, ma come il sintomo di una questione più profonda, che riguarda che cosa la Chiesa è disposta a mettere in comune con il mondo, che immagine ha di se stessa e cosa vuole raccontare» (Lineamenti, 21). Le nostre comunità hanno chiesto, in sintonia con quel che è scritto nei Lineamenti ( 22), che la liturgia sia più vicina alla vita di chi celebra, nei linguaggi e nei modi di celebrare, affinché torni ad essere nutrimento centrale della vita cristiana. Riporto dalla Sintesi Diocesana solo a modo di esempio: «Rivalutare la liturgia celebrata con attenzione e cura senza trascurare nulla, ma con semplicità e con l’eloquenza dei gesti. Rendere il linguaggio liturgico più accessibile ed incarnato nelle diverse culture». Per non dire quanto i due documenti appena citati si soffermino sulla questione giovanile proprio in occasione dei linguaggi e della comunicazione. Non possiamo dimenticare che un linguaggio non si inventa dal nulla o a tavolino, bensì affonda nella spiritualità della persona e va formandosi o trans-formandosi lentamente con l’apporto di tutti nella dinamica sociale, s’intreccia con i simboli, con le narrazioni, con le passioni e le sofferenze vissute ed espresse nella società. Sembra deleterio rifugiarsi nella ripetizione di linguaggi semplicemente ricevuti dal passato, usati talvolta per soddisfare vuoti personali o protagonismi impropri, travisandoli inconsapevolmente nella loro stessa matrice originaria. A tal proposito gli uffici pastorali hanno avviato un lavoro per la revisione del Direttorio liturgico pastorale diocesano, il quale necessita da una parte di aggiornamenti provenienti dalla promulgazione di nuovi libri liturgici e di indicazioni del Magistero e dall’altra di uno snellimento di taluni ambiti, perché la liturgia sia realmente “fonte e culmine della vita cristiana” (Sacrosanctum Concilium 10) e i “riti splendano per nobile semplicità” (Ib. 34).
  3. La formazione alla fede e alla vita comprende l’intenso nucleo della trasmissione della fede, dai bambini agli adulti, da chi è vicino a chi si è allontanato o ha persino perso i contatti con la Chiesa. L’attenzione all’iniziazione cristiana dei piccoli, ma anche di un numero crescente, seppur minuto, di giovani e adulti, è da tempo discussa e richiesta nella nostra Chiesa. E l’iniziazione non è da offrire soltanto a chi non ha ricevuto i tre sacramenti, ma spesso anche a chi è ormai lontano; molti di voi lo sperimentate quando alcune persone si accostano alla comunità e al presbitero per cercare un segno di speranza dal Cielo. È vero che la gran parte delle famiglie richiede per i figli il catechismo, ma avvertiamo in quest’ambito parecchi scricchiolii. Non ultimo il numero e l’età dei catechisti. Ben sei spunti di proposte operative sono suggerite nei Lineamenti. L’insistenza cade sull’avviare percorsi formativi globali, non solo dottrinali, che facciano esperire alle famiglie, ai piccoli e ai giovani i vari aspetti della vita ecclesiale. A mio avviso, rimane cruciale il nodo dei formatori, che siano catechisti o altro. Per un verso, ho spesso invitato i presbiteri ad assumere loro stessi, accanto ai formatori disponibili, il contatto diretto con i formandi; per altro verso, è indispensabile una ripresa della vita spirituale dei formatori, con l’accompagnamento spirituale regolare. Abbiamo inoltre fatto cenno, già in parecchie sedi, della necessità di progettare e stendere anche noi dei percorsi formativi che siano pensati alla luce dei nuovi linguaggi, ad esempio quelli degli ambienti digitali. In realtà, tra gli spunti presenti nei Lineamenti troviamo sia «Adottare esperienze di rinnovamento di formazione dei formatori (guide spirituali, insegnanti, catechisti, responsabili sportivi ed educatori più in generale) secondo modelli di formazione integrale (che armonizzino cioè le diverse dimensioni della persona: spirituale, relazionale, affettiva, intellettuale), finalizzati all’accompagnamento spirituale ed ecclesiale nelle differenti situazioni di vita» (Lineamenti, 43). E nella nostra Sintesi Diocesana della fase sapienziale, tra altre, è stata avanzata la proposta di una «Formazione permanente e proposte formative congiunte e rivolte a tutti: laici, consacrati, ministri ordinati al fine di costruire e diffondere una cultura sinodale». Si tratterà nel corso di quest’anno di precisare le proposte e iniziare a progettare le modalità.
  4. Indispensabile è la crescita della corresponsabilità nella missione della Chiesa. Abbiamo segnali che in tutti è accresciuta la volontà di partecipare a questa missione, ma subiamo contemporaneamente non solo le povertà del Meridione d’Italia, come già anticipato prima, ma anche una crisi culturale della partecipazione, generalizzata nell’Occidente. È vero che questa investe soprattutto il campo sociale e civile, ma non si può negare che influisca sulla vita ecclesiale. La nostra unica soluzione è la cultura evangelica dell’amore. Questa culmina nell’Eucaristia, alimento essenziale nelle comunità dei credenti, ai quali è data la forza per la testimonianza della carità; qui la forza dei gesti si manifesta come unico linguaggio eloquente.

La nostra Diocesi ha avviato da tempo i percorsi ministeriali, sia per i ministeri ordinati sia per quelli istituiti. Constatiamo nondimeno delle incertezze a loro riguardo; ma ribadisco che non serve la quantità, bensì coltivare una solida vita spirituale affinché i candidati possibili siano davvero uomini e donne testimoni del Vangelo. Ho più volte ripetuto, inoltre, che la debolezza delle aggregazioni laicali e il moltiplicarsi di gruppi spontanei nelle parrocchie non ha aiutato la formazione di personalità laicali solide. Per questo colgo con favore almeno due degli spunti che i Lineamenti suggeriscono in tal senso: «Curare la dimensione vocazionale dei percorsi formativi, così che ognuno sia aiutato a comprendere il dono ricevuto e a rispondere al compito a cui è chiamato nella Chiesa e nel mondo; Valorizzare le esperienze associative come luogo in cui si apprende a sentirsi corresponsabili della vita della Chiesa e dell’annuncio del Vangelo nell’assunzione della dignità battesimale» (Lineamenti, 81).

Diretta conseguenza di una maggiore o minore personalità ecclesiale del clero e dei laici è il ruolo che gli organi di partecipazione svolgono all’interno della cura pastorale sia diocesana sia parrocchiale. L’auspicio dei Lineamenti e della nostra Sintesi Diocesana è unanime; ecco il nostro documento: «Rendere obbligatoria l’istituzione dei consigli pastorali nelle comunità parrocchiali ed in generale potenziare gli organismi di partecipazione prevedendo una qualificata presenza di laici e laiche. Ai componenti sia attribuita la funzione del discernimento in riferimento a decisioni di rilievo e di valore apostolico». La strada da percorrere in quest’ambito mi sembra piuttosto lunga sia da parte di noi, clero, sia da parte dei fedeli laici, non solo quanto all’apertura della collaborazione, ma anche quanto alla passione ecclesiale, alla competenza e alla libertà virtuosa della partecipazione.

  1. Nella situazione complessa cui ho fatto cenno la grazia dell’imminente Giubileo viene ad illuminare il cammino. Come tutti i Giubilei, esso ci apre alla riconciliazione e al perdono, con Dio e con gli altri. Papa Francesco ha intuito gli snodi convulsi che l’umanità intera attraversa dopo il tracollo della modernità e dell’assetto che essa ha avuto per secoli, compresa la cosiddetta “cristianità”. Forse per questo ha assunto come titolo del prossimo anno giubilare un verso di san Paolo nella Lettera ai Romani: “La speranza non delude” (5, 5). Convinti della speranza che la risurrezione di Cristo ha offerto, la nostra Caritas con il coinvolgimento delle parrocchie, ha investito in progetti orientati a offrire possibili orizzonti alle giovani generazioni, facendo degli oratori spazi di incontro e centri di educazione alla speranza.

La bolla di indizione Spes non confundit così si esprime: «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni» (n. 1). Come già detto non nutriamo illusioni circa un chimerico benessere terreno futuro; per altro, constatiamo che popoli meno ricchi di noi, ieri come oggi, hanno goduto e godono di serenità e pace, attestando che la ricchezza terrena non apporta necessariamente felicità. Il credente in Cristo risorto, invece, cammina sulla terra stando nei cieli, e per questo la percorre illuminandola con una Luce altra, che non possiede, ma dalla quale è posseduto e che desidera annunciare a tutti. Pertanto ripetiamo l’augurio del Santo Padre, espresso in chiusura della Bolla: «Il prossimo Giubileo, dunque, sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore» (n. 25). Nei primi mesi dell’anno pastorale in ogni parrocchia saranno tenuti degli incontri di catechesi, sulla Bolla di indizione del Santo Padre Francesco, i quali favoriranno una retta comprensione dell’evento giubilare.

Do appuntamento a tutti i fedeli per il 29 dicembre 2024 alle ore 18.00 in Cattedrale, dove apriremo anche per la nostra Chiesa questo anno di grazia. Nelle prossime settimane sarà presentato il calendario diocesano degli avvenimenti giubilari principali.

Affido alla Vergine Annunziata e a tutti i patroni delle nostre comunità la perseveranza nel seguire fedelmente Cristo, nostra speranza.

+ Antonino Raspanti

                                                                                                                                       Vescovo

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9 Ottobre 2024
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